Non passa quasi nessuno per la strada della Valle, alle undici di mattina di questo venti ottobre del pianeta Terra. Molti sono in ufficio, qualcuno in viaggio (magari sull’aereo che passa proprio ora sopra le Prealpi e perde tra le montagne il suo rumore).
Quasi tutti si trovano in un sacco di posti in cui io non sono.
Quasi nessuno ha avuto quello che io, in pantofole e tuta da casa, ho potuto godermi dal pratone con tutti i (cinque, sei, dieci) sensi.
Sono questi i giorni in cui mi sento importante.
Capita, parlando delle mie scelte di vita, che il mio interlocutore dica: “Ci vuole coraggio. Io non ce la farei”.
Sì, è vero: ci vuole coraggio. Il coraggio quasi quotidiano di affrontare il dubbio che la strada sia sbagliata. Ogni volta che vengo a sapere che un mio coetaneo sta facendo carriera in qualche ambito lavorativo, o ha vinto il tal concorso pubblico e ottenuto l’agognato Tempoindeterminato, o sta rimpolpando la sua pensione integrativa grazie a un contratto breve ma succulento. Quando qualcuno mi chiede: “E tu, che lavoro fai?” e rispondo, un po’ imbarazzata: “Beh, leggo storie ai bambini”.
Il confronto, dentro di me, parte immediato anche se lo so, che la felicità mica si misura in successo e denaro e prestigio sociale. Un programma in background che non riesco a disistallare. Quella voce che mi chiede se ormai non sia tardi per dedicarmi alla leggerezza e se non sia ora di “diventare grande” (col che presumo intenda qualcosa che ha a che fare col timbrare il cartellino e incazzarsi al telefono con persone importanti).
Poi, però, ci sono le mattine come questa, con tutto quest’oro rosso che si respira.
Quando accompagno la bimba ad aspettare il pullmino della materna e leggiamo assieme un albo illustrato sedute su un tronco d’albero.
O i giorni dai fortissimi contrasti, in cui mi trovo dapprima in mezzo al caos cittadino, immersa in una trentina di bambini con cui sognare e cantare e raccontare nuovi mondi, e due ore dopo sola nel silenzio del crepuscolo, a portare a spasso il cane tra le sagome scure dei faggi.
Sono i momenti in cui penso di averlo già trovato, il mio posto nel mondo. Qui, sulla terra. Qui, tra i bambini e le parole e la bellezza. E che non ci sia niente di più importante che proteggere la bellezza per loro, per noi, perché rimanga accesa e possa riaccendere il futuro ogni volta che le braci si spengono.
E allora mi pare di fare una delle cose più vere, antiche e importanti: tenere viva la bellezza, tenere vive le storie.