Questo periodo sospeso mi ha fatta tornare a riflettere sulla nostra scelta del Luogo fuori luogo.
Dopo qualche anno speso ad inseguire figli, a leggere per i figli degli altri e lambiccarmi il cervello per trovare una mia strada che componesse le mie scelte di vita e l’esigenza di trovare un posto nella cosiddetta “vita normale” (n.d.Astrid: peraltro senza che ancora abbia trovato una soluzione), cercando contemporaneamente di non mancare in coerenza, infilando negli interstizi ciò che veramente contava… anch’io, come molti, mi sono trovata a faccia a faccia con la nostra scelta.
Scelta di solitudine.
Solitudine che è assenza di auto sulla strada provinciale e d’aerei in cielo, che, sommata alla solita assenza quasi completa di segni di antropizzazione (dato che la valle e i suoi rumori ci sono nascosti dalla collina) fa una bolla di natura e di noi, per giorni e giorni.
Che è visite quasi quotidiane della fauna selvatica, dal camoscio-sentinella col suo buffo verso che sembra il rumore di un trapano al fischio prolungato e temibile delle poiane, al tambureggiamento echeggiante del picchio nel bosco di sotto.
Che è senso d’intimità con il verde che lentamente invade gli alberi, con quella luminescenza stranissima delle prime foglie che le rende miriadi di lampadine accese e che fa dire a mia figlia: “Che bello! Non mi ricordavo com’erano gli alberi con le foglie!”.
Ma è anche solitudine rispetto al vissuto della maggior parte delle persone che condividono con noi questo pezzo di mondo e questo strano spicchio di tempo.
Per noi questa parentesi significa, certamente, preoccupazione per i nostri cari, le cui voci e i cui pensieri ci raggiungono ma che non possiamo vedere; per il nostro presente e futuro, dato che, essendo entrambi lavoratori autonomi, non abbiamo alcun guadagno in queste settimane; e per il presente e futuro del mondo e dell’umanità tutta (dato che ci piace pensare in grande); ma allo stesso tempo spazio di bellezza e silenzio, cose che ci sembravano essere sempre più scarse persino nel nostro piccolo mondo.
Prima, c’è il lavoro di carteggio fatto per anni su noi stessi: il continuo interrogarci su quale sia il modo più onesto, autentico, leggero sul mondo di vivere. Scelte faticose e mai definitive, intese a portarci, possibilmente, sulla via dell’umanizzazione, che hanno impegnato molte delle nostre energie; scelte relative a come e cosa consumare, come educare i nostri figli, come curarci, come spostarci, come e quanto lavorare, che genere di relazioni avere.
Insomma, alcune delle mie conclusioni sono qui: magari qualcuno le troverà utili:
– che non sceglierei un’altra vita, nonostante tutto
– che la famiglia è una gran risorsa
– che le relazioni profonde e autentiche non hanno bisogno di continue conferme ma ci sono, anche quando migliaia di muri vi si frappongono. Come diceva Henry David Thoreau in Walden, ovvero vita nei boschi: “Il valore di un uomo non è nella sua pelle, così non occorre toccarlo”.
– Che chi è nella natura non è mai solo. Di nuovo Henry David Thoreau: “Io non sono più solo di un solo verbasco o di una bocca di leone in un pascolo, o di una foglia di fagiolo, o di una acetosa, o di una mosca cavallina, o di un’ape. Non più solo del Mill Brook, o d’un gallo di latta, della Stella Polare o del vento del Sud, d’una pioggia d’aprile o d’una gelata in gennaio – o del primo ragno in una casa nuova”
– che avere un orto, un giardino, un qualsivoglia pezzo di terra ti tiene in equilibrio
– è banale, ma: che un profondo cambiamento deve avvenire nella nostra società: subito. Non domani o dopodomani. Un cambiamento che riguarda tutte le cose che ho scritto sopra e molte altre, ma che, in generale, riguarda la relazione: il modo in cui noi, come individui e come specie, ci relazioniamo con gli altri individui, con le altre specie, con la Terra. Qualcuno, come me, aveva da mesi la sensazione di trovarsi su una pentola a pressione che fischiava a più non posso in attesa che la sua valvola di sicurezza collassasse?
– che il primo cambiamento che deve avvenire è una riscoperta della cura, un atteggiamento insito in noi in quanto appartenenti a una specie sociale, che la nostra cultura e la nostra intelligenza possono indurci ad estendere oltre i confini della nostra specie. L’unica cosa che davvero può guidare la nostra necessaria evoluzione in esseri umani.