La vita inattesa e Quando intrecciavamo fiori sono diventati libri*
Immaginate duemila, tremila scrittori, che decidono di mettersi in gioco in un torneo letterario bandito da uno dei più grossi gruppi editoriali italiani.
Scrittori che per quasi un anno, in anonimo, leggono e valutano reciprocamente le loro opere: dapprima l’incipit, poi il testo completo di quei pochi che hanno superato la prima feroce selezione.
Sullo sfondo, gli editor delle case editrici del grosso gruppo editoriale che osservano.
E, alla fine, dieci vincitori, i cui testi escono in e-book curati dal grosso gruppo editoriale, tra i quali le case editrici scelgono una, o più, opere per pubblicarle su carta.
Un torneo vero e proprio, carico di fatica e ansia ma anche di inaspettati incontri con la bellezza, in cui c’è chi s’impegna intensamente, chi gioca sporco, altri che si conoscono e col tempo creano reti, crescendo attraverso il confronto con altre storie, altri stili, altre età.
Questo è il Torneo letterario IoScrittore, cui ho dedicato una parte delle mie energie tra il 2010 e il 2015, arrivando per ben due volte a un passo (una volta proprio a un sospiro…) da quella vetta tanto ambita. Un Torneo che mi ha dato, e mi ha richiesto, molto.
Ora che ho chiuso quella fase, credo per sempre, i due romanzi che ne sono risultati escono assieme su carta, ed è assieme che li voglio promuovere.
In quest’uscita simultanea vedo una potente sincronicità.
Apparentemente sono due romanzi molto diversi: uno prodotto dei miei vent’anni (perché, sì: purtroppo i tempi dell’editoria sono più lunghi di quelli della vita), l’altro dei miei trent’anni; uno dedicato alla prima gioventù, l’altro alla terza (o quarta?) età; uno scritto in prima, l’altro in terza persona; in essi si specchia la maturazione del mio stile e della mia visione di persona e di scrittrice.
In realtà sono due libri che si parlano attraverso il tempo della mia vita, riecheggiando l’uno nell’altro. E non è un caso, ne sono convinta, che si siano aspettati per procedere assieme.
In entrambi si parla di rapporto tra le generazioni e di eredità immateriale, anticipando, e preparando, la mia attuale riflessione sulla responsabilità educativa nei confronti delle generazioni più giovani, quell’aver tutti per figli che credo sia indispensabile costruire per salvare la nostra società dalla mancanza di senso e orizzonti.
In entrambi si racconta delle cose strane, pericolose, meravigliose che accadono quando si supera il baratro tra sé e gli altri e si prova a con-fondersi con loro. In fin dei conti, si parla, in entrambi, delle morti e rinascite che passano per il rischio dell’incontro con l’Altro da sè.
Scrivere libri non è tanto diverso dall’intessere relazioni: si affronta sempre un rischio, nel cercare di superare il baratro che ci separa dall’Altro – anche quando quel baratro passa attraverso un foglio di carta. Il rischio di impiegare tempo e passione per nulla, di non essere compresi, di sentirci guardati con sufficienza o, ancora peggio, di non sentirci guardati affatto. Eppure è un rischio che ho voluto correre, perché a volte mi pare che così è giusto che sia.
Buona lettura.
* Amanti dell’e-book: scusatemi, ma non posso mentire – io amo il libro di carta.